giovedì 24 maggio 2012

Raccolta differenziata di piatti e bicchieri di plastica. Finto riciclo


Raccolta differenziata, ma i piatti usa e getta finiscono nell’inceneritore

La legge permette lo smaltimento di "stoviglie" plastificate solo dal primo maggio, anche se le forchette restano escluse. "Ma poi non esiste una filiera per il recupero - spiega l'assessore provinciale torinese Roberto Ronco - quindi il rischio è lo smaltimento con l'indifferenziata. Ecco cosa buttare o no insieme agli imballaggi

plastica riciclata interna new
A partire dal 1° maggio i piatti e i bicchieri di plastica usa e getta si possono “legalmente” gettare nella raccolta differenziata. Una novità di cui probabilmente molte persone non si accorgeranno nemmeno, avendolo fatto fino ad ora senza sospettare di essere in errore. Nella raccolta della plastica, in realtà, vanno conferiti esclusivamente gli imballaggi, quindi niente giocattoli, accessori, spazzolini…e finora nemmeno stoviglie usa e getta: per quanto possa sembrare incredibile se pensiamo alle enormi quantità che vengono consumate ogni giorno nelle mense italiane. Ma piatti e bicchieri, sono o non sono imballaggi? La questione è un po’ complicata. Imballaggio è tutto ciò che serve a contenere una merce, e che non viene dunque venduto separatamente. Il confine in Italia è definito e regolato dal pagamento del Contributo Ambientale Conai, un’imposta che devono versare al Consorzio Nazionale Imballaggi le imprese che producono, appunto, “imballaggi“. Di fatto le stoviglie erano sostanzialmente esonerate dal contributo. E per questo motivo, economico, le stoviglie usa e getta che venivano gettate nei cassonetti della plastica e recuperate dal consorzio di raccolta (il Corepla) venivano considerate “frazione estranea”, vale a dire delle impurità, in grado di abbassare il livello qualitativo del carico raccolto, e dunque il suo valore economico.
Solo poche settimane fa i consorzi hanno deciso di cambiare: i produttori versano da maggio il contributo per intero e le stoviglie di plastica -ricatalogate come imballaggi – possono entrare a pieno titolo nella raccolta. Ma questo non significa che verranno riciclate tutte per davvero. Anzi – come ha dichiarato l’ assessore all’ambiente della Provincia di Torino, Roberto Ronco – allo stato attuale mentre i vituperati sacchetti e le vituperate bottiglie hanno delle filiere di recupero e torneranno a essere plastica, piatti e bicchieri finiranno quasi tutti piuttosto male: le stoviglie usa e getta di plastica rientrano infatti nella famiglia delle plastiche eterogenee, per le quali non esiste ancora una filiera di recupero su scala nazionale, e dunque verranno incenerite. Non sono problemi tecnici insormontabili a ostacolare il riciclo, ma una questione economica: attivare un nuovo filone di recupero ha ovviamente dei costi molto alti, che non saranno mai affrontati in assenza di un mercato significativo di acquirenti. Quindi per ora non se ne farà nulla, al di là di qualche rara esperienza regionale, come il caso dell’azienda di trattamento Revet, che in Toscana ha avviato alcuni progetti sperimentali di riciclo, recuperando parte delle plastiche miste per produrre pannelli fonoassorbenti, componenti per la Piaggio e arredamenti per esterni.
Ma il riciclo delle stoviglie usa e getta è un problema solo italiano? Vediamo velocemente cosa succede fuori dai confini nazionali. In Francia piatti e bicchieri di plastica restano fuori dalla raccolta. In Spagna, Portogallo, Svezia e Germania invece vengono raccolti, ma devono essere ripuliti prima di essere inseriti nel cassonetto (una raccomandazione che il Corepla ribadisce a chiare lettere anche in Italia: i piatti non saranno più considerati delle impurità, ma le tracce di pastasciutta o – peggio ancora – gli avanzi di cibo decisamente sì! Invece un goccio di caffè rimasto nel bicchiere non è un problema). In Inghilterra e negli Stati Uniti il destino delle stoviglie usa e getta dipende dal tipo di polimero utilizzato: piatti e bicchieri di plastica sono generalmente realizzati in polistirene (PS, identificato con il numero 6) e possono essere conferiti nella raccolta, anche se le effettive possibilità di riciclo non sono affatto omogenee sul territorio e variano spesso da una città all’altra.
Tornando all’Italia, non è ancora partita una vera campagna di comunicazione del Conai per spiegare agli italiani la novità. Oltre a ricordare a chi usa stoviglie usa e getta di assicurarsi che non ci siano troppe tracce di cibo prima di buttarle nella raccolta, la campagna dovrà far passare un altro messaggio: nel cassonetto della plastica dovranno andare i piatti e i bicchieri, ma non le posate. Che, per quanto servano più o meno allo stesso scopo, non sono imballaggi per nessuno, nemmeno per le direttive europee. E quindi le posate di plastica usa e getta vanno nei rifiuti indifferenziati.
di Elena Donà e Paolo Hutter

domenica 20 maggio 2012

DePILiamoci con il FIL


FIL o PIL: l’esperienza del Bhutan

Fonte: Magozine
Nel Bhutan, regno himalayano ricco di miti e leggende, un paese dove acquistare sigarette è illegale, si sta valutando un altro indice detto Felicità Interna Lorda (FIL).
Questo singolare parametro sta riscuotendo interesse a livello mondiale perché è stato utilizzato come indicatore della felicità umana indipendentemente dal benessere materiale, contrassegnato dal (PIL).
Invece che basare lo sviluppo sulla crescita economica , il Bhutan misura in base alla felicità delle persone. Il 96,7 per cento dei suoi abitanti ha dichiarato di essere molto felice, nonostante non sia un paese ricco.
Il FIL rappresenta un nuovo approccio filosofico allo sviluppo: in altri termini, l’indice non si limita a valutare la ricchezza materiale, bensì prende in considerazione soprattutto la ricchezza mentale.
In Bhutan conta per misuare la felicità (FIL):
  • promuovere uno sviluppo economico imparziale e uno sviluppo generale
  • mantenere un ambiente naturale ricco e uno sfruttamento sostenibile
  • proteggere l’eredità culturale, tramandare e promuovere la cultura tradizionale
  • stabilire e mantenere un buon governo.
Ma poiché questi aspetti non possono essere espressi numericamente, attualmente un gruppo di ricerca bhutanese sta lavorando per sviluppare un’espressione quantitativa del FIL, nella quale le quattro voci sono ulteriormente suddivise nei seguenti nove parametri misurabili:
  • standard di vita basilari
  • differenza e diversità culturali
  • ricchezza di emozioni e sentimenti
  • salute fisica e mentale
  • livello di istruzione e di cultura
  • gestione del tempo e progettualità di vita
  • ambiente ed ecologia
  • stabilire e mantenere un grado di attività (o disponibilità a lavorare con gli altri) all’interno di una comunità


 I politici del paese si impegnano per mantenere un buon equilibrio tra un’alta qualità morale, la felicità e la crescita economica, in una società che riconosce l’individualità di ognuno, dove le relazioni umane sono valorizzate e le persone possiedono le capacità emotive per esprimere empatia verso gli altri.
Gli abitanti del Bhutan sono convinti che la crescita economica non sia una misura valida della felicità umana perché sanno bene che non c’è limite al desiderio di beni materiali e non è poi così interessante possedere tante cose. Essi vivono e praticano i principi buddisti di carità e compassione (kasha), offrire e donare (fuse) e non possedere beni (mu-shoyuu) predicati da Mahatma Gandhi in India. Un insegnamento prezioso quello del popolo bhutanese, che ci porta inevitabilmente alla riflessione, in un periodo in cui i valori umani sono troppo trascurati a favore di un alienante individualismo egoista; la lezione che ci danno si fonda proprio sulla valorizzazione della “relazione” fra esseri umani e fra essere umani e natura. Inoltre il successo o la maturità sono considerati il risultato di un processo di crescita del cuore e dello spirito piuttosto che nell’accumulo di ricchezze. Provate a “dare i numeri” sulla base dei nove parametri al vostro paese… grasse risate!